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«Conte vince e ti convince» #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Quando Fabio Quagliarella è salito per la prima volta sul treno con destinazione Torino aveva poco meno di 13 anni. Un ragazzino che nella valigia portava con sé delle scarpette da calcio e tanti sogni. E le prime sono state propedeutiche per trasformare quei sogni in realtà.

Con la maglia del Torino è cresciuto, è diventato uomo e si è consacrato come bomber. Poi il grande giro, che lo ha portato a vestire (tra le altre) anche le maglie di Napoli e Juventus, fino a oggi che ha smesso con il calcio giocato e commenta le partite dagli studi di Sky Sport. Ma in quella parentesi bianconera il suo cammino si è incrociato con quello di Antonio Conte. «Che mi ha convinto a restare in bianconero».

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E allora iniziamo da qui.
«In quell’estate mi volevano sia la Lazio che la Roma e il mio trasferimento avrebbe creato un effetto domino su altri bomber: c’erano in ballo anche gli spostamenti di Gilardino e Borriello».

E quindi?
«Sembrava tutto fatto, quando a un certo punto mi arriva una telefonata di Conte. Rispondo e lui non mi lascia nemmeno parlare: “Dove vai? Non se ne fa niente”».

E lei?
«Se ti chiama Conte e ti dice una cosa del genere, cosa si può fare? Ovviamente sono rimasto alla Juventus. E così fu anche a gennaio della stessa stagione, quando era tutto fatto con il Wet Ham, ma lui mi disse “Tu da qua non ti muovi e resti qua”. Insomma mi fece capire che mi voleva tanto e per me è stato un motivo di grande orgoglio e piacere».

Che allenatore è Antonio Conte?
«Innanzitutto è uno che parla tanto. È schietto, è diretto. Se ti deve dire una cosa non fa giri di parole e questo ai calciatori piace. Nel bene e nel male».

E dal punto di vista del lavoro in campo?
«È un vincente sotto tutti i punti di vista. Ti cambia a livello di mentalità e di lavoro fisico. Ti fa capire che se a livello fisico fai allenamenti di un certo tipo, poi ne benefici la domenica. Mentre dal punto di vista tattico ti fa capire quello che vuole con ore e ore di video».

Diceva della tattica…
«Quello che succede nei primi 70 metri di campo è studiato e codificato alla perfezione e te lo ripete continuamente, ma negli ultimi metri lascia molta libertà agli attaccanti. Già immagino quello che dice a Kvara: “fai qualcosa, inventa tu”. Era sempre così con noi: lascia spazio al talento».

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Ci racconti un episodio.
«Eravamo a Miami in tournée e dopo giorni di lavoro durissimi ci concede una serata di libertà. “Ma a mezzanotte tutti in camera”, precisa. Io rientro verso l’una e mi sentito in colpa. Pensavo di essere uno degli ultimi, ma invece ero il primo. Ovviamente lui sapeva già tutto e il giorno dopo è incazzato nero. “Il primo che si ferma durante la corsa lo metto fuori rosa”, ci dice con tono minaccioso. E verso la fine dell’allenamento, però, si ferma Pirlo».

E Conte?
«Seraficamente fischia tre volte: “Allenamento finito, va bene. Tutti a fare la doccia”. Ma d’altra parte se avesse messo fuori rosa Pirlo avremmo fatto noi una protesta».

Ha avuto Conte anche come ct in Nazionale.
«Quando sei ct devi sintetizzare i tuoi concetti e far capire le tue idee più velocemente. Ma per uno diretto come lui non è stato complicato e infatti ha fatto bene anche con l’Italia anche se non ha vinto».

Quanto vede del Conte che conosce lei nel Napoli di oggi?
«È sempre più il Napoli di Conte. E sono d’accordo con lui quando dice che sono gli altri a dover avere la pressione di vincere perché il Napoli viene da una stagione difficile come quella passata. Ma va anche detto che quando chiamano lui è per vincere. In ogni caso, conoscendo la sua mentalità, so che vuole sempre stare con il piede sull’acceleratore. Di sicuro non è il suo Napoli 100%».

Cosa manca?
«È una questione di tempo e i giocatori pian piano assimilano quello che vuole. Ma siamo a ottimo punto . E poi manca ancora il miglior Lukaku».

Ci dica di più…
«Lukaku lo difendo perché va aiutato, va messo più in condizione di rendere. D’altra parte quando gli arriva la palla giusta come è successo contro la Roma ti decide la partita. Quello è stato un gol pesantissimo».

Ma lei avrebbe preferito giocare vicino a Lukaku o a Kvara?
«A me è sempre piaciuto avere accanto uno grosso come Romelu. Mi è sempre piaciuto giocare con una prima punta fisica perché sapevo che le mazzate se le prendeva lui e io prendevo le sponde. Ho giocato con Bonazzoli, Zapata, Iaquinta e ho reso sempre di più, di base nasco seconda punta».

Ma chi lo vince lo scudetto?
«Negli ultimi anni non c’è mai stata una classifica così corta, che per certi versi è anche molto affascinante. Diciamo che davvero ogni settimana può succedere di tutto. È sicuramente bello per chi la vede, un po’ meno per il tifoso che vorrebbe allungare o recuperare a seconda della posizione in classifica della propria squadra».

Domani il Napoli gioca a Torino, una città che le permette di aprire il cassetto di ricordi.
«Sono arrivato a Torino quando avevo 13 anni, devo tanto al club e alla città. Hanno creduto in me fin da piccolo. Sono cresciuto e ho fatto le scuole lì. È la mia seconda casa. Ho fatto lì la mia adolescenza che è l’età più particolare. Vivevo in un convitto con tanti altri ragazzi della tua età».

Come mai scelse il Torino?
«In quegli anni facevo tanti provini e mi volevano 6-7 squadre. Mio padre mi disse “Decidi tu dove vuoi andare, dove ti sei trovato bene”. Anche se ero poco più che un bambino mi ero informato su quello che sarebbe stato il contesto migliore dove emergevano più giovani e il settore del Torino era molto forte. Poi quando avevo fatto il provino mi ero trovato bene. L’istinto mi ha portato a scegliere lì ed è andata bene. Per altro nello stesso giorno siamo arrivati io e Calaiò».

Che insidie deve temere il Napoli domani?
«Il Torino all’inizio era una delle sorprese. Merito dell’identità dell’allenatore. Ma dopo l’infortunio di Zapata hanno accusato fin troppo il colpo. Secondo me Vanoli è molto valido. Il Napoli deve temere la voglia di rivalsa del Toro e l’ambiente che sarà molto caldo».

Lei è uno che non dimentica le origini: che effetto le sta facendo la Juve Stabia?
«La Juve Stabia la seguo sempre. È una realtà piccola ma con una grande passione. La loro bravura è stata non aver smantellato la squadra e confermato l’allenatore. Se sai già quello che vuoi sei a buon punto e infatti stanno facendo un bel campionato togliendosi delle belle soddisfazioni. Ha una forte identità. Non è la classica squadretta che pensa solo a salvarsi. Ma Castellammare è una realtà vincente anche in tanti altri sport. Pur essendo piccola come città tira fuori tanti talenti».





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